IL BINARIO DELLA MEMORIA

Anno 1979

Il binario lungo il muro della vecchia azienda Vinicola, allora già caserma Govone, diventò famoso come Binario della Memoria per via delle deportazioni che avvennero subito dopo l’8 settembre. L’episodio più importante e più tragico si svolse proprio sui binari della stazione di Alba: i tedeschi, dopo essere entrati ad Alba e aver occupato le caserme, imprigionarono i soldati. Angosciati per la loro sorte erano tutti gli albesi, uno di essi, Giuseppe Rinaldi, fu fucilato mentre tentava di portare del cibo a suo figlio che era dentro la caserma Govone. Non era nemmeno entrato all’interno, si sporse per guardare attraverso una finestra, stando sul marciapiede, e fu colpito. I soldati delle SS, dopo aver fucilato altri quattro uomini e averli seppelliti per disprezzo in un letamaio, ne rinchiusero molti proprio nei vagoni per il bestiame che sostavano sui binari. I prigionieri restarono rinchiusi tra le lamiere, sotto il sole, per sei ore, fino a quando dei sacerdoti, tra cui il vescovo Grassi, li liberarono sfidando e contrattando con i tedeschi. Ne uscirono alcuni morti, altri moribondi. Intanto nella caserma Govone erano imprigionati tremila uomini che la signora Rizzoglio e Giovanni Ferrero, due albesi avevano ottenuto il permesso di rifocillare. Ne fecero scappare alcuni, vestendoli con abiti da donna che avevano portato apposta. Fu un gesto di giustizia e di coraggio che non deve essere dimenticato.

Luigi Maria Grassi, La tortura di Alba e dell’Albese 1944-1945
Pietro Chiodi, Banditi
IC “Alba San Cassiano” – Secondaria “Macrino”, classe 3°B
Andrea Civitillo, Giulia Muratore, Leila Stefanovska,
Insegnanti Gigliola Collini, Annamaria Menaldi, Matilde Sasso

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La caserma ospitava 800 militari, nel periodo bellico la città arrivò ad ospitarne circa 2500. Altre fonti storiche indicano anche 3000 soldati; il contingente non rimase stabile, ma cambiò nel tempo per il continuo spostamento dei reparti sul territorio. Nei mesi dopo l’8 settembre 1943 vennero diffusi in città dei manifesti in cui si diceva che ogni militare italiano che si fosse presentato regolarmente nella caserma avrebbe continuato a svolgere il suo lavoro, mentre chi avrebbe provato a scappare sarebbe stato deportato in Germania. 10 settembre 1943 fu quando le formazioni tedesche apparvero nella città di Alba per
la prima volta, s’impadronirono della caserma Govone e intimarono ai soldati che si trovavano dentro; la disorganizzazione dell’esercito favorì i tedeschi armati e disciplinati.Fucilarono quattro soldati per terrorizzare gli altri, poi ne imprigionarono un buon numero in carri ferroviari alla stazione per dimostrare ai cittadini la loro forza. Li lasciarono senza cibo sotto il sole cocente, stretti e senza possibilità di provvedere a intime necessità, senza via di scampo. Già altri prigionieri erano stati rinchiusi in carri bestiame, tra urla di protesta e di dolore. In quei giorni dei sacerdoti albesi ed alcune signorine tagliarono i fili di ferro che chiudevano le porte dei vagoni dove erano rinchiusi i prigionieri, riuscendo a salvare la vita di parecchie persone. Le guardie tedesche non reagirono.

Il Vescovo Grassi protestò per il trattamento nei confronti dei soldati prigionieri, la protesta funzionò dato che venne allentata la stretta sui militari italiani.
Molte donne albesi iniziarono a entrare appositamente nella caserma fingendosi parenti dei prigionieri e riuscirono a portare i soldati verso l’atrio, per poi portarli addirittura fuori dalla caserma salvandoli.

Attività di ricerca svolta dagli allievi della 2A Macrino a.s. 2024-25
Alessandro Cerrato, Riccardo Kercuku, Luca Iocca, Matteo Piatto, Pietro Carato, Samuele Torta
Insegnante prof.ssa Manuela Maina

Bibliografia:

L.M.Grassi, “La tortura di Alba e dell’albese”, Soc. San Paolo, Alba, 1994.

G.Parusso, “Alba. Il Novecento. Appunti per una cronaca”, Araba Fenice, Boves, 2005

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Sono in giro per Alba, preoccupato per i miei amici soldati, tanto più giovani di me. Ho sentito da un gruppo di persone davanti alla caserma che i tedeschi ad Alba non arriveranno mai. Ma non sono tranquillo. Siamo ai primi giorni di settembre del ’43. Proprio quella notte sento spari ed urla di persone spaventate, allora decido di scendere dal letto ed esco a vedere cosa sta succedendo Camionette con delle scritte tedesche si avvicinano: sono le SS, soldati e carri armati tedeschi che stanno entrando ad Alba. Mi avvicino alla caserma, anche se so benissimo che è molto pericoloso. C’è una grande confusione, qualcuno entra armato, altri entrano con cose da mangiare, sono anche donne e anche preti, una camionetta esce, sembra piena di armi e non è tedesca. Ad un certo punto mi vedono e mi trascinano via, penso che mi uccideranno, ma non lo fanno. Chiudo gli occhi, non voglio sentire, cammino, so di non essere solo. Alla stazione di Alba ci caricano su un treno merci, fatto di legno e di ferro. So dove portano quei binari, tutti lo sanno. Passiamo ore d’inferno, in un posto angusto ed in piedi, qualcuno prova ad uscire, ad aprire le porte, ma bulloni e filo di ferro chiudono tutto, chiudono noi lì dentro. Qualcuno urla, qualcuno piange, qualcuno ha fame, sete, deve fare i suoi bisogni, siamo tutti pigiati, senza poterci sedere, il sole alto ormai ci cuoce. Di sera, dopo ore di agonia, sentiamo dei passi al di fuori del treno, subito pensiamo siano le SS che stanno preparando la partenza del treno, ma invece sono uomini valorosi, armati di tenaglia e pinze, che ci liberano e donne valorose, armate di acqua e cibo, che ci portano in ospedale. Davvero ci si può opporre? Si può resistere? Ora lo so.

Dedicata al coraggio di chi ha resistito, questa è una storia inventata, scritta da noi, ispirata alle letture di
Luigi Maria Grassi, La tortura di Alba e dell’Albese 1944-1945
Pietro Chiodi, Banditi
IC “Alba San Cassiano” – Secondaria “Macrino”, classe 3°B
Gioele Fornito, Leonardo Magliano, Pietro Pizzorni,
Insegnanti Gigliola Collini, Annamaria Menaldi, Matilde Sasso